Cervino  4478 m
RACCONTO dell'AVVENTURA
La Cresta del CERVINO (Sud-Ovest) via Italiana l'ho percorsa nell'Agosto 1965 con Lucio Arduino.
Partenza dal parcheggio di Breuil a cui eravamo arrivati con la Cinquecento.
Salita al Rifugio Oriondè per facile sentiero fino poi raggiungere le roccette della Testa del Leone,
e successivamente scalare delle rocce in un gran canale dal quale precipitavano in continuazione
pietre che per via naturale o perchè mosse da altri alpinisti che ci precedevano.
Erano delle vere bombe e ci fischiavano fortunatamente dietro le spalle o si frantumavano
al nostro fianco.
Mi chiedo a cosa sarebbe servito il casco (compreso l'elmetto militare) con quei tipi di sassi
grossi e velocissimi.
Grazie a Dio raggiungiamo indenni la Capanna Luigi Amedeo.
Qui troviamo altri alpinisti più che altro svizzeri e austriaci.
La Capanna aveva un'area di circa 10 mq. con un letto matrimoniale a castello, un piccolo tavolo
e una panca.
Dentro non si poteva girare in più di 4 persone e per mangiare bisognava fare i turni. 
Alla sera furbescamente in anticipo andiamo a prendere posto nel letto in basso
(il materasso era un pagliericcio), legato insieme a Lucio in quanto non siamo riusciti a slegarci 
(il nodo della corda di canapa bagnata è indipanabile)   
Il letto si affolla, abbiamo dormito si fa per dire, in 4 per piano, altri 4 sul pavimento e
altri all'aperto.
Il problema durante la notte è andare a fare il bisognino che non avviene in contemporanea,
e che costringe a contorsioni nel letto e calpestamento dei dormienti sul pavimento.
Dato che le complicazioni non vengono mai sole, in queste manovre  occorreva dare anche
la corda (al bisognoso) che inevitabilmente si irgarbuglia.
Al mattino che è prima dell'alba ci si districa dal groviglio e ci si prepara.
La giornata anche se è ancora buio non sembra promettere niente di buono.
Tutti aspettano e nessuno parte, poi qualcuno si decide ma dopo lo vediamo ritornare.
Molti incominciano a ritornare a valle fino a quando siamo rimasti soli.
Era quasi mezzogiorno e le nubi non ne volevano sapere di alzarsi.
Conciliabolo con Lucio ed infine la decisione di partire per la salita.
Seppure con scarsa visibilità riusciamo a progredire, più che altro per intuito, singolare è
stato trovare delle enormi gomene di canapa che in teoria avrebbero dovuto aiutare
nella scalata.
In realtà erano inutilizzabili in quanto troppo grosse e rivestite di ghiaccio che le
trasformavano in veri alberi della cuccagna (le abbiamo utilizzate solo con un
cordino per una improbabile sicurezza in caso di volo).
Proseguiamo con il tempo fermo sul brutto, ma senza fenomeni, raggiungiamo una
lunga scala di corda (scala Jordan) che ci permette si salire una parete molto verticale.
Continuiamo a salire rocce inclinate e non difficili fino ad arrivare in vetta che abbiamo
riconosciuto per la presenza di una croce (non si vedeva molto altro).
Grande abbraccio e euforia con Lucio, ci siamo fermati ben poco anche perchè la
macchina fotografica (una Comet Bencini) per la rituale foto di vetta aveva già
smesso di funzionare subito dopo la Oriondè bloccata dal freddo.
Iniziamo la discesa per la stessa via di salita e incomincia a nevischiare, accelleriamo
ma il tipo di terreno non consente di correre.
Si alza del vento da nord sempre più forte con raffiche che se non si rimane attaccati
alla roccia ti spazza via.
Lo zaino militare dei tempi era praticamente un sacco con delle bretelle esili e
taglienti che tagliavano le spalle, senza la cintura per legarlo in vita, e in presenza
di questo vento tipo bora triestina si spostava alla mia destra e mi sbilanciava.
Ci si poteva muovere solo tra una raffica e l'altra e in questo modo il procedere era
lento come le lumache.
Sotto le narici e sulla bocca si formavano dei ghiaccioli, la neve si incastrava sulle
ciglia e sopracciglia, tanto da farci sembrare più simili allo yeti che a un uomo.
La neve ci martoriava la pelle del viso come se nelle nubi ci fosse un aviatore
che ci mitragliava con dei pallini da caccia, al ritorno quando ci siamo guardati
allo specchio sembravamo affetti dal morbillo e reduci da una zuffa.
In queste condizioni e con la luce del giorno che se ne andava, abbiamo cominciato
a preoccuparci ed abbiamo capito che dovevamo trovare un posto che ci potesse
offrire almeno un minimo di riparo.
Dulcis in fundo cominciamo a vedere fulmini e sentire strani tuoni ritardati.
Finalmente troviamo dietro a un torrione una specie di balconcino di 50 cm. 
con dietro una piccola rientranza che pensavamo potesse ripararci dalla neve e
da quel vento micidiale.
Ci fermiamo e intelligentemente togliamo dai sacchi martello, chiodi e moschettoni 
(allora erano di alluminio pieno e con scarsa tenuta)
e ci liberiamo del materiale metallico che avevamo addosso compreso la picozza,
per riporli in un anfratto lontano da noi una decina di metri.
Ci leghiamo attorno a un grosso sasso, ci sediamo e cerchiamo di trovare una
posizione comoda.
Nel frattempo la notte era calata anche se noi eravamo praticamente illuminati
dai continui lampi come fossero dei traccianti militari.    
Lo spettacolo dei lampi e il suono dei tuoni non in sincronia ci sbigottiva e
ci atterriva anche se cercavamo di non darlo a vedere.
Sembrava di essere allo spettacolo dei fuochi artificiali della festa del paese o
sotto un grande bombardamento di guerra.
Questo era dovuto al fatto che il lampo è istantaneo, mentre il rumore prima
di essere percepito doveva tornare dalla valle e ci metteva diversi secondi e
creava degli echi che moltiplicavano il rumore e le sovrapposizioni.
Da seduti cominciamo a fare un pò di commenti e imbastire delle strategie sul
come uscire da questo impiccio.
E' solo un modo per passare il tempo e fingere di non esserci messi in un reale
pasticcio, in quanto l'unica soluzione in questi casi è di avere le ali o 
rassegnarci a passare una lunga notte.
Nel frattempo il vento continuava a soffiare anche se eravamo un pò riparati,
la neve turbinava e più che scendere arrivava in orizzontale, i lampi e i tuoni
ci tenevano una brutta compagnia.
In queste condizioni si ha una vaga cognizione del trascorrere del tempo,
solo l'orologio che era l'unica cosa che funzionava, ci dava la situazione.
Le ore non passavano mai, arrivano le 22, le 24 e la situazione non cambia.
Quando ci eravamo fermati, se pur infreddoliti, il corpo aveva ancora del calore
residuo e dovuto al movimento, ma da fermi e con i vestiti bagnati dentro e
incartapecoriti fuori il freddo cominciava a farsi sentire.
L'abbigliamento del tempo consisteva di pantaloni alla zuava di panno,
di una camicia di flanella, di un maglione di lana, calzettoni lunghi fino al
ginocchio, giacca a vento imbottita da cascami poco impermeabile, cappello
e guanti di lana. 
Con questo abbigliamento eravamo bagnati fino al midollo e pesanti diversi
chili in più.
Nel sacco non avevamo più niente da mangiare, ci erano rimaste solo 2 stecche
di cioccolato, mezza borraccia di vino e una di acqua.
Tirando fuori tutto dal sacco ci viene una idea intelligente, utilizzare i sacchi per
infilarci i piedi e un pezzo di gamba, e questo ci ha dato un pò di sollievo.
Beviamo del vino che era aspro, acido e francamente imbevibile in situazioni
normali.
L'ho scoperto solo dopo molti che il vino nascendo in pianura e portato in
altura si rovina.
Al momento dà una sensazione di calore e di benessere, ma è poco durevole
come se evaporasse.
Passa qualche ora e il freddo ci attanaglia sempre di più, allora diamo fondo
al cioccolato.
Questo ci ha dato la sensazione di funzionare più a lungo.
Per tenere attiva la circolazione continuiamo a muovere le braccia e a fare
altalena con le gambe sul terrazzino.
Non avendo niente da fare cominciamo a guardare i lampi e scopriamo una
cosa singolare.
A tutti sarà capitato di vedere un temporale e di vedere le saette che
scendono dal cielo e di immaginare che siano dovute allo scontro tra nubi o
masse d'aria che liberano la loro energia cinetica.
Questo è vero, ma osservando abbiamo notato che prima che parta la saetta
luminosa e visibile si crea una specie di arco voltaico sulla terra e che si
localizza su punte o zone metalliche della lunghezza di 30/40 cm. che fa un
brusio che arrostisce la roccia, che emette un odore forte di Zolfo, solo dopo
qualche secondo parte la vera saetta luminosa.
Questo mi ha fatto capire che è la differenza di potenziale tra l'aria e la terra
che li manifesta.
Chi è nelle vicinanze viene sottoposto a un enorme campo magnetico e
elettrostatico che fa rizzare tutti i peli del corpo e i capelli.
Ci siamo accorti di questo dopo essere scesi a Cervinia e il fenomeno è durato
per 2 giorni. 
Passano ancora 2 ore interminabili, parlando con Lucio, rincuorandosi a vicenda
e poi la furia degli elementi sembrava placarsi.
Tiriamo un sospiro di sollievo, ci liberiamo per quanto possibile della neve che ci
avvolgeva.
Scompaiono le nubi e si presenta un cielo stellato di un bellissimo azzurro.
Si vedeva Cervinia con le luci delle strade che formavano un disegno come
di un arco.
Il passatempo ora era contare le luci di Cervinia e ammirare le stelle.
Si vedeva la via Lattea e davo sfoggio a Lucio della mia improbabile cultura
astronomica.
Erano le 2 passate, i piedi e le mani erano rigidi e quasi non si sentivano più.
Anche se non avevamo il termometro la temperatura ci sembrava
ulteriormente scesa.
Continuiamo a muovere mani e piedi, interviene però anche il digrignare
dei denti, inarrestabile. 
Per avere un pò di tepore alle mani abbiamo scoperto di metterle sopra
"i cosiddetti" che risultano essere la parte più calda del nostro corpo
(l'attributo quasi scompare).
Lucio , che normalmente non è molto loquace, smette di parlare e dopo
un pò vedo che ha il capo chinato.
Non sarà mica morto e comincio a scuoterlo, grazie a Dio si sveglia.
Sapevamo che non ci si poteva addormentare per il rischio di non
svegliarsi più.
La stanchezza, il torpore portano a chiudere gli occhi, le palpebre
pesano come se fossero di piombo.
Stabiliamo allora di fare a turno dei sonnellini brevi di 15 minuti,
uno dorme mentre l'altro vigila e a scadenza sveglia il compagno.
Durante i turni di veglia scende anche lo sconforto e si comincia a
pensare di non potercela fare.
Io che ero e sono credente comincio a pregare e a chiedere aiuto all'Unico
che poteva salvarci.
A un certo momento sento una vampata di calore che mi pervade e mi
dà una dolce sensazione di benessere.
Dopo un pò però l'effetto finisce e si ritorna alla triste realtà.
Siamo quasi alle quattro, il digrignare dei denti è incontenibile, mentalmente
dico ancora molti "Il Padre Nostro", mi autoconfesso e raccomando la
mia anima a Dio perchè non ce la faccio più.
Abbraccio Lucio e così uniti si risparmia in dispersione di calore.
Mi ritorna una seconda vampata di calore, ma meno intensa della prima.
Così abbracciati tiriamo le cinque e vediamo davanti a noi sorgere il sole.
Ci si apre il cuore e ritorna in noi la speranza di farcela.
Lo spettacolo che si apre davanti agli occhi è di incomparabile bellezza,
ma le rocce sono coperte da un sacco di neve.
Con gran fatica ci alziamo, ma i movimenti sono difficili, tutti i muscoli 
sono rigidi, le mani e le gambe sono di legno come quelle di Pinocchio.
Andiamo a recuperare il materiale e proviamo a scendere.
Riusciamo a raggiungere poco sotto una terrazza abbastanza ampia e
incominciamo una specie di danza per cercare di sciogliere i muscoli e
cercare di riattivare almeno un minimo di circolazione agli arti.
Il sole c'è e splende, ma non sentiamo il suo calore.
Intanto con tutto questo traneggio erano arrivate le sette, prima di
partire realmente per la discesa.
Sia Io che Lucio ci muoviamo con circospezione e non era semplice
perchè bisognava pulire appigli e appoggi o battere la pista dove la
neve era spessa.
Scendiamo lentamente finchè alle undici vediamo degli alpinisti che salgono.
Come ci vedono spalancano gli occhi come se avessero visto la "Madonna".
Erano Luigi Carrel detto Carrellino (il figlio di Carrel che ha aperto questa via)
e Jean Bich che stavano salendo con dei clienti.
Carrel ci dice "ma da dove arrivate voi due ?" , gli raccontiamo l'accaduto,
ci dicono che abbiamo bivaccato al Pic Tyndall una anticima del Cervino a
quota 4100 m.
Ci offrono del tè e non riuscivano a capacitarsi di come fossimo sopravvissuti
nell'inferno che si era scatenato quella notte sul Cervino e che loro avevano
ben visto da Cervinia.
Ci invitano a venire alla sera alla Casa delle Guide per farci festa.
Scendiamo poi alla Capanna, era circa mezzogiorno, troviamo 2 alpinisti
probabilmente austriaci, non capivamo nulla di cosa dicevano e ancor meno
noi parlargli.
I nostri visi e le condizioni in cui eravamo erano più chiare di ogni lingua,
avevano già sul fornello da campo dell'acqua, che a quella altitudine non
bolle mai, ci versano una busta di minestra  e ce la offrono.
Poi ci regalano una busta di uva passita, tagliano in 2 pezzi una stecca di
cioccolato e ci danno un pezzo a testa, una vera leccornia da hotel a 5 stelle.
Era già un pò tardi per loro partire per la vetta, comunque non hanno esitato
ad aiutarci e forse li abbiamo costretti a rimandare la loro salita.
Queste cose ai giorni nostri penso che non possano più accadere perchè si è
perso il senso della solidarietà e di slancio verso gli altri, specie se bisognosi.
Il pasto, l'altitudine inferiore, il sole che finalmente scaldava ci stava
rimettendo in sesto e dopo dei ringraziamenti a gesti ci incamminiamo in
discesa per Breuil.
Ci persisteva comunque la poca sensibilità ai piedi (per me il sinistro) e per
Lucio alcune dita della mano destra.
La discesa non finisce mai, comunque verso le sei arriviamo al parcheggio.
Per prima cosa occorreva liberarsi di quel cordone ombelicale che ci univa,
riusciamo a sciogliere il mio nodo, mentre quello di Lucio ci fa perdere la
pazienza e decidiamo di tagliare la corda.
La corda era a prestito dal CAI di Saronno e non si sarebbero accorti che
mancava un pezzo.
Quando poi la abbiamo restituita ed abbiamo raccontato le nostre peripezie
l'addetto ci dice che la corda di nylon ce l'avevano, ma non ce l'ha data per
paura che la rovinassimo con i ramponi e che costava un sacco di soldi.
Non vi dico gli improperi che gli abbiamo tirato. 
Mangiamo qualcosa che avevamo in auto e mettiamo dell'acqua sul fornello
da campo.
A me viene una "idea geniale", immergere il piede sinistro nell'acqua calda
per dare una smossa alla circolazione del piede.
Non l'avessi mai fatto, il piede si gonfia e faceva un male boia.
Andiamo in una farmacia, spiego al farmacista il problema e quello mi dice
se sono scemo, mi dà una pomata e mi dice di andare a mettere i piedi a
mollo in acqua fredda o ghiacciata.
Troviamo un ruscello ed entrambi immergiamo i piedi.
Effettivamente funzionava anche se ci sono poi voluti diversi giorni per
tornare alla normalità.
Qualche capillare comunque si deve essere rotto perchè ancora oggi il
piede sinistro dolora in presenza di freddo.
Alla sera Carrel ci ha invitati a casa sua (modesta, di legno ma molto pulita),
ci ha offerto il pranzo e ci ha dato un giaciglio per la notte. 
Con Carrel sono rimasto in contatto epistolarmente per alcuni anni.
Le guide volevano che rimanessimo fino a Ferragosto per la loro festa,
ma non potevamo perchè ci attendeva il Monte Bianco.
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Quanto ho scritto è stampato nella mia mente in maniera indelebile, anche
oggi a distanza di 45 anni dall'evento, lo ricordo nei minimi particolari e
rileggendolo mi suscita ancora le emozioni e me le fa rivivere.
Questo scritto lo dedico al mio amato compagno Lucio Arduino che non è
più tra noi e che dal cielo sorriderà leggendolo. 
Non so nella sua nuova realtà quanto e come valuti questa nostra pazzesca
avventura.
 
5 Agosto 2009                                          Sergio Ramella
 
MIE IMPRESSIONI
Il Cervino visto dalla valle è maestoso, imperiale, dalle belle forme, attraente come una bella donna.
Ti prende e per curiosità o spirito di conquista ti attira in una morsa fatale.
Mano a mano ti avvicini cominci a trovarci dei difetti come le rughe delle donne.
Quando ci sali sopra fa lo scontroso e tende a respingerti.
Dopo che lo hai conquistato, spogliato e posseduto ti delude come delle donne sublimi per la tua
immaginazione ma che in realtà alla prova dei fatti ti lasciano deluso e con l'amaro in bocca. 
Oggi si è anche adeguato alle tecnologie moderne con corde metalliche, rifugi confortevoli, ha perso
qualche pezzo per frane.
Ora questa ipotetica bella donna è pure rifatta e assomiglia sempre di più a una bambola di gomma.
Tornando a cose più serie il Cervino se salito con bel tempo stabile, in condizioni  di scarso innevamento
non è difficile.
Il Cervino in sostanza, per chi conosce la "Cresta Segantini" in Grignetta, è questa via  moltiplicata per 3
in lunghezza e dislivello e con svolgimento ad una altitudine doppia (questo non è poco).
Con presenza di ghiaccio o neve o con tempo cattivo la salita diventa difficile, rischiosa e può trasformarsi
in una trappola mortale.
A noi questa esperienza ci ha insegnato molte cose, che poi mi sono state utili nel prosiego dell'attività
alpinistica.
Io mi ritengo fortunato di averla scampata e di essere qui a raccontarla.
Purtroppo molti su tante cime e in situazioni analoghe non sono qui a raccontarle.
Cresta del Leone (cresta sud-ovest)
La cresta del Leone è la via normale italiana al Cervino, più impegnativa di quella svizzera lungo la cresta dell'Hornli: senza le numerose corde 
fisse presenti, si dovrebbero affrontare diversi e lunghi tratti di IV grado.
La principale difficoltà della salita sta nella fatica necessaria per issarsi lungo le numerose corde fisse presenti, specie a quote molto elevate; 
oltre ad un buon acclimatamento alla quota, occorre un'ottima preparazione fisica ed anche molta pazienza per attendere il proprio turno di 
salita in caso di forte affollamento (eventualità abbastanza frequente).
Anche la discesa, lunga e faticosa sia per la cresta del Leone che per quella dell'Hornli, richiede attenzione e concentrazione.
La roccia lungo la linea di salita nel complesso è piuttosto buona, ripulita dagli innumerevoli passaggi, ma blocchi instabili non 
sono comunque rari. 
Inutile ricordare che per una salita di questo genere le condizioni meteo e della montagna devono essere ottimali: 
l'eventuale innevamento aumenta anche in maniera notevole difficoltà e impegno richiesto.
Oltre al casco, risultano molto utili le fettucce, anche per assicurarsi alle grosse corde fisse.
Infine da ricordare che nell'Agosto del 2003 a causa del clima sempre più caldo diverse frane (anche 
grosse) hanno interessato il Cervino; sulla cresta del Leone è interamente crollato lo storico diedro della "Cheminée", che dava accesso al rifugio 
Carrel, ed è stato interessato in parte anche il tratto di parete sopra al rifugio, dov'è presente 
la "corda della sveglia".
                              Difficoltà:          D- ( III+ / 45° )
                              Dislivello:         1300m + 750m
                              Tempi:             ore 4-5 + 4,30-6

Da Cervinia (2006 m) salire in funivia a Plain Maison (2548 m), da dove si segue il sentiero che, prima per 
prati e pascoli, quindi attraverso detriti e sfasciumi morenici, porta al rifugio dell'Oriondè, ex Duca degli 
Abruzzi (2802 m). [1 ora]
Il rifugio è raggiungibile anche direttamente da Cervinia lungo una comoda strada sterrata in 2 ore (con 
500 metri di dislivello in più).
Da qui lungo un buon sentiero raggiungere in breve la Croce Carrel (2920 m) quindi, oltre un tratto detritico 
(ometti), guadagnare un nevaio, da risalire lungo il suo bordo sinistro.
Il salto roccioso successivo superarlo attraverso un canale obliquo, lungo tracce di sentiero e con qualche tratto di facile arrampicata;
proseguire poi per delle tracce attraverso sfasciumi rocciosi e qualche roccia (segnalazioni), sino a 
giungere alla base di un altro nevaio.
Attraversando sulla destra raggiungere una costola di rocce rotte lungo la quale ci si porta sotto le verticali rocce 
sommitali della Testa del Leone.
Qui occorre traversare a mezza costa verso destra per cenge e sfasciumi, con percorso facile ma esposto alle eventuali scariche di 
sassi dalle pareti soprastanti, fino a raggiungere il colle del Leone (3581 m). [Ore 2-2,30]
Ora salire lungo la cresta restando sul versante Sud, inizialmente lungo tracce di sentiero tra detriti, 
quindi lungo placche rocciose (II, fittoni di assicurazione) ed un breve diedro (II+), fino a raggiungere la placca "Seiler";
oltre la placca (II) con l’aiuto di corde fisse portarsi alla base di una ripida parete verticale, ancora da superare grazie ad 
un’ultima corda fissa.
Qui si incontrava il diedro della "Cheminée", prima dell'imponente frana del 2003. 
Oltrepassato il tratto più impegnativo, proseguire più facilmente lungo la cresta per sfasciumi e lungo qualche 
facile placca, fino a raggiungere il rifugio Jean  Antoine Carrel (3835 m). [ore 11,30]
Dal rifugio oltrepassare il punto dove sorgeva la vecchia capanna Luigi Amedeo per raggiungere in breve la 
base della Grande Tour, dove si trova la  "corda della sveglia".
Grazie alla corda fissa superare le placche della torre rocciosa per poi spostarsi, al suo termine, prima verso destra lungo 
placche più facili (II), quindi verso sinistra seguendo le corde fisse fino ad un terrazzino.
Salendo verso destra raggiungere uno stretto passaggio tra due roccioni, oltre il quale un camino con corda 
fissa porta ad una cengia; da qui traversando verso destra (qualche spit) raggiungere e superare un 
diedro, quindi proseguire su placche (II+) sino ad un canale che da accesso alla cresta a monte della Grande 
Tour, detta "Crête du Coq" per via dei numerosi gendarmi presenti.
Affrontare questo tratto di cresta salendo inizialmente per comode cenge sul versante del Breuil; 
tornare in seguito verso il filo di cresta fino a raggiungere un tratto più ripido, che viene affrontato 
sulla destra per una stretta ed infida cengia piuttosto esposta (III, è il famoso "Mauvais Pas"), oltre il quale 
raggiungere una placca rocciosa dove sono incise le iniziali di Whymper e Carrel ("Rocher des Ecritures"). 
Da qui traversare facilmente sulla destra portandosi al breve ma ripido pendio nevoso (o di ghiaccio) del 
"Linceul", che va sempre più riducendosi; risalirlo tenendosi nei pressi delle rocce sulla sinistra fino a 
raggiungere al suo termine un cavo metallico; seguendolo spostarsi verso destra e raggiungere per rocce non 
difficili (II) l'impegnativa parete verticale dove c'è la lunga catena della "Corde Tyndall" o "Grande Corde".
Sfruttando faticosamente la catena e con qualche passaggio in arrampicata (III+) raggiungere il filo di 
cresta (4080 m), da seguire su buona roccia con difficoltà non elevate (II, alcuni chiodi e spit) ma con 
percorso aereo e a tratti esposto, evitando sulla sinistra qualche salto un pò più ripido.
Un ultimo risalto (II) porta sulla cengia (lato Breuil) della "Cravate", lungo la quale si guadagna la vetta 
del Pic Tyndall (4241 m). [Ore 3-3,30]
Ora percorrere la facile cresta quasi orizzontale, che può spesso presentare passaggi di misto (possibili 
cornici se molto innevata) e che diviene più stretta e esposta man mano che ci si avvicina alla "Testa del Cervino".
Questo tratto di cresta termina con un paio di gendarmi, superati i quali scendere (II, piuttosto esposto, chiodi e spit)
allo stretto intaglio "dell'Enjambée", da superare con una decisa spaccata per portarsi sulla "Testa del Cervino" vera e propria.
Salire quindi per facili rocce rotte e terreno misto, facendo attenzione all'eventuale presenza di ghiaccio, 
fino allo stretto terrazzino del "col Félicité", ai piedi di un salto verticale da superare con una corda fissa.
Spostarsi quindi leggermente sulla sinistra (versante svizzero) per poi tornare sul versante del Breuil lungo una stretta cengia
e superare un salto roccioso con corda fissa.
Dal successivo ripiano detritico (o nevoso) tramite l'ennesimo canapone risalire delle ripide placche per poi raggiungere 
verso destra l'inizio della "Scala Jordan".
Con l’aiuto della scala di corda con pioli in legno superare faticosamente il soprastante risalto strapiombante, a 
cui segue la "Corda Pirovano" che facilita la risalita di un diedro sulla sinistra e di una zona di ripide placche.
Al termine delle corde fisse, lungo un'evidente cengia ("Gite Wentworth") riportarsi a sinistra sul 
filo di cresta lungo il quale, aiutati da un paio di corde fisse, superare un' ultima esile cengia sulla 
destra e i facili blocchi rocciosi della parte finale della cresta, raggiungendo la vetta italiana e alla croce (4476 m).
Scesi di qualche metro ad un intaglio, lungo la nevosa ed aerea cresta sommitale guadagnare in breve 
la vetta svizzera, punto culminante della montagna. [Ore 2-2,30]
In discesa si può seguire la via di salita, sfruttando le numerose corde fisse presenti ed effettuando qualche 
doppia dove necessario (punti di calata sempre ben attrezzati), oppure completare la traversata e scendere 
lungo la cresta dell'Hornli.
 
Cresta dell' Hornli (cresta nord-est)
La cresta dell'Hornli è la via di salita più facile del Cervino, e la più frequentata.
Pur non presentando difficoltà tecniche rilevanti, non deve essere sottovalutata per via della lunghezza e della 
relativa pericolosità di scariche di roccia o ghiaccio.
La roccia non è delle migliori, spesso si arrampica su tratti instabili e il grande affollamento del percorso rende le cose 
piuttosto delicate: l'impreparazione dei frequentatori della via e le frequenti disattenzioni nel maneggiare la roccia sono 
spesso causa di brutte scariche.
La grande concentrazione di alpinisti rende quasi sempre la salita lenta e discontinua, in particolare nella parte superiore attrezzata a 
corde fisse, dove spesso capita di dover aspettare il proprio turno di passaggio.
E' assolutamente consigliabile partire molto presto per evitare quanto più possibile i raggruppamenti più numerosi. 
Attenzione al fatto che se si pernotta alla Hornli hutte si è poi costretti, dalle inflessibili e assurde regole del rifugio 
svizzero, ad alzarsi e partire tutti insieme alla stessa ora!
Il motivo sta nella necessità di non disperdere il chiasso delle operazioni di preparazione durante la notte e 
nella volontà di permettere alle numerose guide di muoversi come preferiscono, ma il risultato è sempre il pericoloso 
raggruppamento di tutti i salitori nei punti più stretti e oggettivamente pericolosi della via. 
Casco obbligatorio, fettucce ed un paio di dadi utili.
                                Difficoltà:           AD- ( III- / 45° )
                                Dislivello:           700m + 1200m
                                Tempi:               Ore 2 + 5-7

Dalla stazione della funivia dello Schwarzsee (2584 m), raggiungibile anche per un sentiero da Zermatt (1616 m)
in 2-3 ore, seguire l'evidente traccia segnalata che dal laghetto risale per detriti e pascoli verso un 
corno roccioso.
Salendo lungo l'evidente sentiero, evitare a sinistra dei salti rocciosi per poi portarsi in cresta.
Seguirla fino alla base di un pendio di sfasciumi da risalire con numerosi tornanti per guadagnare la terrazza dove sorge la Hornli hutte
(3260 m).
Poco sotto al rifugio si trova un ripiano detritico (segnalato) dove è possibile campeggiare.  [ore 2]
Dal rifugio seguire il facile e evidente sentiero che porta in direzione del Cervino.
Raggiunto in breve un primo risalto roccioso, superarlo seguendo le corde fisse che salgono un ripido canalino.
Lasciandosi guidare dalle corde fino ad un terrazzino, quindi proseguire per facili cenge ghiaiose ed evidenti tracce. 
Rimanendo molto bassi sotto la cresta percorrere un sentiero che porta fino ad un canale detritico, da risalire per una decina di metri. 
Traversando poi lungo una cengia a sinistra, entrare in un breve canalino roccioso, da superare.
Seguire una nuova cengia orizzontale ma, quasi subito (non proseguire diritto a lungo), salire sulla parete a 
destra, prima in arrampicata (II-), poi seguendo delle tracce di sentiero che portano a doppiare uno spigolo 
verso destra.
Si arriva ad un nuovo canalino roccioso; risalirlo prima verso destra, poi a sinistra (II-) 
fino ad uscire su una cengia orizzontale (spit).
Risalire ancora per circa 20 metri la parete giungendo poco sotto il filo di cresta.
Continuare poi ad attraversare per rocce e tracce di sentiero fino ad un canale-diedro roccioso da risalire 
direttamente (II+), senza cercare di aggirarlo a sinistra.
Dalla sommità del canalino (fettucce di calata) proseguire lungo il detritico canale sovrastante per circa 50 metri, al termine dei 
quali uscire per una bocchetta sulla sinistra; seguendo poi un altro canale più breve ma ugualmente ghiaioso e 
sabbioso, raggiungere di nuovo pochi metri al di sotto del filo di cresta.
Traversare in orizzontale a sinistra per una buona traccia di sentiero fino a raggiungere una 
torre rocciosa (spit) da aggirare a sinistra; poi proseguire per tracce che risalgono la 
parete a zig-zag, stando sempre al di sotto del filo di cresta, fino ad un nuovo canalino roccioso, da risalire (II+).
Al suo termine traversare a sinistra lungo una cengia, fino a doppiare uno sperone che scende dalla cresta.
Da qui non risalire la parete seguente, ma attraversarla in orizzontale fino alla costola rocciosa che la delimita a sinistra.
Questa costola va risalita (II-) fino ad arrivare ad una specie di bocchetta circa 50 metri al di sotto del filo 
di cresta.
Seguire quindi una traccia di sentiero sulla sinistra che passa a monte di un vicino gendarme; 
continuare poi a salire in obliquo per cenge, placche e gradoni (II-) verso la cresta, fino a raggiungere una cengia rocciosa subito
sotto il filo di cresta (chiodi di assicurazione) poco prima di una torre.
Dopo avere aggirato la torre sulla sinistra, seguire per 20 metri un canalino, per proseguire quindi in diagonale a sinistra e 
poi lungo delle cenge, avendo come riferimento i fittoni d'assicurazione.
Raggiunta così una zona di placche, risalirla direttamente (II, fittoni) puntando verso la cresta soprastante e verso 
l'ormai visibile rifugio Solvay, fino ad arrivare a dei cavi metallici che portano alla base della placca Moseley.
Superata la placca (III-, chiodi e fittoni) raggiungere la Solvay hutte (4003 m). [Ore 3-4,30]
Dal rifugio spostarsi a sinistra e risalire la placca Moseley superiore (III-, chiodi).
Sempre seguendo i fittoni e i chiodi, spostarsi a destra fino a raggiungere il filo della cresta.
Proseguire lungo la cresta per blocchi rocciosi (II) fino a raggiungere la Torre Rossa, che va aggirata a sinistra (corda fissa), 
per tornare poi nuovamente in cresta.
Seguire la cresta fino a raggiungere il breve ma ripido pendio di neve e ghiaccio (45°) della Spalla, da risalire (fittoni) per 
riprendere poco più sopra la cresta rocciosa.
Proseguire prima lungo il filo, quindi aggirare un rilievo più ripido sulla sinistra (II-); si arriva così, 
dopo un breve tratto orizzontale, all'inizio del blocco roccioso sommitale, attrezzato con grosse corde fisse ed 
un tratto di catena.
Salire lungo il filo o leggermente spostati sul versante nord per ripide placche seguendo le corde.
Raggiungere infine l'ultimo ripido pendio di misto (fittoni, attenzione al ghiaccio) che porta in cima, sull'estremità orientale dell'aerea cresta 
sommitale; all'estremità opposta (vetta italiana, un metro più bassa) è posta l'artistica e famosa croce di 
vetta. [Ore 2-2,30]
In discesa si può seguire la via di salita, effettuando eventualmente qualche corda doppia dai numerosi fittoni 
presenti nei punti che lo necessitano, oppure effettuare la splendida traversata scendendo per la cresta del 
Leone.